L’aggressione letale alla psichiatra Barbara Capovani, avvenuta venerdì 21 aprile all’esterno del servizio di psichiatria sociale all’ospedale Santa Chiara di Pisa, ha scosso l’Italia. Eppure, è solo il più recente di una lista troppo lunga di episodi violenti ai danni di medici e infermieri.
Delle 4.821 aggressioni registrate dall’Inail nel triennio 2019-2021, il 71% colpiva una donna. L’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala che fra l’8% e il 38% degli operatori sanitari ha subito una forma di violenza fisica nel corso della sua carriera, e che ancora più numerosa è la percentuale di chi è stato aggredito verbalmente[1].
Cosa si poteva fare per evitarlo? O meglio, si poteva effettivamente fare qualcosa?
Le domande che sorgono all’indomani del verificarsi di una violenza sul luogo di lavoro sono molteplici.
La verità è che occorre muoversi in anticipo. Il “workplace violence” è un fenomeno che esiste, è già ben presente nelle dinamiche sociali contemporanee. Non è più una questione di se, ma di quando. Occorre riconoscere l’esistenza di questo fenomeno, accettarlo, e fronteggiarlo.
Come muoversi, quindi?
Ci sono standard internazionali costruiti proprio per fronteggiare questo il tema della violenza sui luoghi di lavoro, un tema senza dubbio complesso e sfaccettato. Fra questi, rileva lo Standard di Asis International “Workplace Violence and Active Assailant – Prevention, Intervention and Response”, che offre una guida alle organizzazioni per creare un framework funzionale alla prevenzione, gestione e risposta della violenza sui luoghi di lavoro. Un secondo framwork internazionale di riferimento è la Convenzione ILO del 2019, No. 190[2], “Violence and Harassment Convention”, che esplora il fenomeno e offre spunti, definitori e organizzativi, utili.
Gli strumenti esistono.
Occorre lavorare insieme, in azienda con gruppi di lavoro tra le funzioni HR, Safety e Security, al fine di prevenire tali eventi e far sì che non occorrano. Emerge la necessità di formare il personale, di attivare meccanismi di segnalazione tempestiva dei segnali deboli e poter intervenire, prima che sia troppo tardi. Occorre, in ultimo ma non certo per importanza, ripartire nella giusta direzione – usando gli strumenti corretti – al fine di creare un mondo del lavoro più sicuro per tutti. E’ un dovere morale di ognuno di noi professionista della sicurezza promuovere una cultura diffusa del “Prendersi Cura”.
[1] Fonte: https://tg24.sky.it/cronaca/2023/04/24/barbara-capovani-gianluca-paul-seung-chi-e
[2] https://www.ilo.org/dyn/normlex/en/f?p=NORMLEXPUB:12100:0::NO::P12100_ILO_CODE:C190