Il periodo in cui viviamo è caratterizzato dall’attuale situazione pandemica e noi ci siamo ritrovati, volenti o nolenti, ad ampliare esponenzialmente l’utilizzo dei social network fino al punto di dimenticare un concetto fondamentale ovvero che la funzione dei social è quella di comunicare e non di informare.
Uno degli elementi che hanno indotto all’errore, se così si può dire, deriva dal cambio di percezione del valore che stanno assumendo i social: questi sono stati inizialmente identificati meramente quali strumenti di comunicazione tra soggetti sconosciuti sparsi per tutto il globo e ora si sono evoluti. Come in ogni tipo di comunità dall’inizio dei tempi le persone sono state indotte ad unirsi in gruppi più o meno omogenei all’interno dei quali ci si ritrovi a condividere interessi, passioni, orientamenti ideologici, religiosi e/o politici. Nonostante l’essenza virtuale di queste aggregazioni di utenti, i parametri di funzionamento sono gli stessi; quello che cambia è la spersonalizzazione latente che aleggia su questi sistemi.
I gruppi nella Rete uniscono utenti che condividono gli stessi interessi e fanno circolare al loro interno delle notizie le quali acquistano valore perché sono proprio i medesimi componenti del gruppo a volerci credere.
Ecco un punto interessante: le notizie, che di per se non hanno un valore essendo prive di una chiave di lettura, girano all’interno di questi gruppi ma vengono arricchiti dei post, commenti e anche opinioni personali. Di conseguenza una notizia, partendo dall’assunto che sia vera, per il solo fatto di essere interpretata da una sola persona, si distorce. La distorsione, man mano che si realizza, provoca un effetto a cascata tale che, moltiplicando una “correzione” anche minima per decine di volte, ciò che ne deriva è un allontanamento più o meno importante dal concetto di base. È la stessa logica che caratterizza il famoso gioco del telefono senza fili che facevamo da bambini.
Riprendendo quanto anticipato circa la spersonalizzazione anche in abbinamento con la possibilità di nascondersi dietro un profilo falso, anche detto fake, possiamo dire che una sorta di libertà è derivata proprio da quella inibizione che, in modo del tutto naturale, si prova all’interno di un contesto sociale; del resto non si può tacere che anche nei social esiste un codice di comportamento largamente condiviso, una c.d. Netiquette delle reti sociali.
L’utilizzo di profili fake all’interno dei social network ha comportato diversi problemi proprio in ragione delle motivazioni che spingono gli utenti a voler rimanere anonimi. A titolo esemplificativo e non esaustivo: il semplice ragazzo che vuole frugare nella vita dei coetanei, l’hater che ha desiderio di riversare un odio motivato o meno nei confronti di un altro utente, il singolo che vuole conservare la propria privacy, colui che vuole muovere critiche nell’ambiente di lavoro o, da ultimo, i soggetti che scelgono deliberatamente (troll/bot) di sfruttare questa possibilità per condividere anonimamente notizie, verosimili o addirittura del tutto fasulle, comunque suscettibili di contribuire ad alterare la percezione del reale.
Proprio per le ragioni suindicate non si dovrebbe mai confondere il social da un mezzo di informazione. Quest’ultimo infatti si pone l’obiettivo di contestualizzare una notizia nel modo più oggettivo possibile in modo da trasmettere la notizia scevra da qualsivoglia interpretazione.
Ma allora se la divisione è così netta tra le due parti perché si rende necessaria la trattazione di questo tema?
La risposta risiede nella modificata percezione che le persone hanno del valore dei canali di comunicazione “non ufficiali”: molte persone li ritengono più aperti, liberi e, secondo teorie complottiste, meno asserviti al sistema. Li considerano cioè una sorta di canali di informazione ripuliti dalla volontà dei Potenti.
Altra motivazione che ha portato alla luce il grande valore dei Social Network è il grande uso che molti soggetti hanno fatto di questi strumenti per diffondere un messaggio: ne sono esempi le funzioni di carattere emergenziale come la famosa conferma di essere in salvo in caso di catastrofi naturali creata da Facebook oppure gli oramai famosissimi cinguettii della piattaforma Tweeter che hanno visto negli ultimi anni uno uso intensivo a livello politico (si pensi semplicemente all’uso massivo di questi messaggi da parte del 45° Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump o anche da altri politici nostrani).
Qualora ciò non basti ad avvalorare la tesi esposta si potrebbe fare un esercizio teorico tramite una reductio ad absurdum. Supponiamo per un momento che i social network siano l’unica fonte attendibile d’informazione poiché non asservita a relazioni con apparati di governo, lobby o forze politiche e a questo punto facciamo circolare un semplice messaggio di testo, del tutto inventato s’intende, all’interno di questo canale in tempi a noi contemporanei che recita: “Gli scienziati hanno trovato una correlazione tra diffusione del virus e la carnagione: elevati livelli di melanina ne favorirebbero la propagazione” –
Ora, questo messaggio nella sua apparente semplicità ha molti elementi interessanti con delle caratteristiche che lo rendono efficace per gli effetti che ne potrebbero derivare.
Senza dover analizzare ogni singolo aspetto del messaggio con l’intento di falsificarlo (in ragione della reductio attuata con il social che in questo caso è informazione), vediamone invece i punti principali che lo rendono efficace nel lato comunicativo: in primis notiamo che si fa subito riferimento ad una autorità senza assolutamente specificare la natura degli scienziati e la loro formazione, cioè il loro accreditamento e affidabilità; in secundis si parla di un virus che con grande probabilità, se non addirittura con certezza, sarà associato al SARS-CoV2 che ora ci affligge secondo i principi di “trigger emotivo”.
Subito dopo un altro punto che fa intuire distintamente le intenzioni e gli effetti che l’utente porterà a scatenare: il tema del razzismo infatti è uno di quegli aspetti che ha da sempre caratterizzato la specie umana.
Questa notizia, se portata ad un pubblico sufficientemente ampio, arriverebbe addirittura a creare una sorta di stigmatizzazione verso determinati soggetti solo per meccanismi di ridondanza ed auto-referenzialità.
Se ciò avvenisse per ogni elemento condiviso tramite i social, questo comporterebbe una alterazione della realtà sotto infiniti punti di vista come già avviene parzialmente per il superamento delle convinzioni sociali citate precedentemente tali da non poter più distinguere una notizia vera da una falsa.
Ne consegue che informarsi attraverso i social sarebbe come apprendere i principi di funzionamento di una materia, sia essa giuridica, economica, ingegneristica, o altro, basandosi esclusivamente su manoscritti o sul sentito dire all’interno di contesti informali.
Supponendo di riuscire a recepire alcuni concetti validi ciò avverrebbe tuttavia in modo confusionario, contraddittorio ed eccessivamente fuorviato dalla singola ed irripetibile condizione di acquisizione dell’informazione.
In conclusione si dimostra come i social network non possano essere considerati strumento di informazione.
Al termine di questo ragionamento desidero tuttavia spezzare una lancia a favore dei social.
Nel considerare che anche le testate giornalistiche più accreditate non possano prescindere da una influenza, seppur minima, in ragione della propria storia, della linea editoriale o altre situazioni, il singolo deve necessariamente avere una accortezza maggiore nel “saper leggere” in chiave oggettiva e critica le notizie riportare ma soprattutto ricercare una quantità maggiore di fonti per evitare una visione unilaterale ed incompleta.