Socrate, negli ultimi istanti della sua vita – scrive Gianrico Carofiglio ne “La nuova manomissione della parole”(Feltrinelli, 2021) – raccomanda a Critone: “Tu sai bene che il parlare scorretto non solo è cosa per sé sconveniente, ma fa male anche alle anime.”
Tutti possiamo verificare, ogni giorno, che lo stato di salute delle parole è quanto meno preoccupante, la loro capacità di indicare con precisione cose e idee gravemente menomata. (…) E tuttavia il parlare “scorretto”, la progressiva perdita di aderenza delle parole ai concetti e alle cose, è un fenomeno sempre più diffuso, in forme ora nascoste e sottili, ora palesi e drammaticamente visibili.
Le parole e il linguaggio sono diventate nella società contemporanea un problema. Lungi da me trattare il tema, non ne ho né le competenze né la capacità. Ma nell’ambito della disciplina della quale mi occupo, ovvero quella della gestione e comunicazione di crisi, i temi del “linguaggio” e del significato delle parole rivestono un ruolo centrale.
E sono due parole, “emergenza” e “crisi“, ad essere state uno dei fattori che nell’aprile 2020 mi hanno motivato a coinvolgere altri 34 esperti e accademici per analizzare come lo Stato ha gestito la prima fase della pandemia (“Lo Stato in crisi. Pandemia, caos e domande per il futuro“, marzo 2021 Franco Angeli). Sin dal mese di febbraio del 2020 avevo infatti trovato a dir poco strano che nel discorso politico e mediatico ci si riferisse ad un’emergenza sanitaria quando eravamo di fatto chiamati a gestire una crisi sistemica.
Nel corso di questi 24 mesi ho continuato ad interrogarmi sul significato di queste due parole cercando di comprendere perché vengono costantemente utilizzate come fossero sinonimi. Questo mi ha portato a riflettere su quanto sia importante parlare un linguaggio condiviso, un lessico comune che assegni alle parole il loro corretto significato. Perché chiamare una crisi un’emergenza vuole prima di tutto dire non aver compreso la natura del problema che si è chiamati ad affrontare.
Non è tuttavia possibile parlare di emergenza e di crisi senza parlare di sistemi. E non è possibile parlare di sistemi se non si ha ben chiara in mente il significato di altre due parole, forse meno abusate rispetto ad emergenza e crisi ma ugualmente poco conosciute: complicato e complesso.
Per comprendere la differenza tra sistemi complicati e complessi, prima ancora di approfondire che cosa sia una crisi e cosa invece un’emergenza, rimando alla lettura di questo ottimo articolo a firma di Alberto Felice De Toni (Il Sole 24 Ore, 6.1.22). Scrive l’autore:
“La pandemia è un esempio eclatante di complessità. Non possiamo definire la soluzione ex-ante, la ricostruiremo a tavolino ex-post (…)”
Sistemi complicati e sistemi complessi ci aiutano a comprendere il significato di emergenza e crisi. In primis possiamo affermare che così come sistemi complicati e complessi sono – come ben spiega De Toni – due mondi diversi, anche emergenza e crisi appartengono a due sfere diverse. L’emergenza rientra infatti nell’ambito delle situazioni complicate, la crisi invece nella logica dei sistemi complessi o caotici.
L’emergenza sta ai sistemi complicati come la crisi sta ai sistemi complessi/caotici.
Grazie ai contributi di Marinella De Simone, Ferruccio Di Paolo e Giovanni Ferrari (3 dei co-autori de Lo Stato in Crisi), del Col. Alessandro Rappazzo e del Col. di Stato Maggiore Mark Eigenheer dell’esercito Elvetico e all’articolo di De Toni ho sintetizzato nelle cinque slide che trovate sotto i concetti fondamentali associati ad emergenza e crisi, a sistemi complicati e sistemi complessi/caotici. Sono liberamente scaricabili e vi incoraggio a condividerle in ambito accademico, della formazione alla gestione e comunicazione di crisi in azienda e nelle istituzioni e presso la nostra Protezione civile.