“Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. Questa è la definizione che la Treccani fornisce del termine ‘infodemia’.
Nell’ultimo decennio, internet e i social media hanno radicalmente mutato il modo in cui le persone si informano. Se qualche anno fa, al comparire di un qualunque problema di salute, la prima domanda veniva posta al medico curante, ora spesso Google e i vari social vengono usati come primo interlocutore.
Questo fenomeno, divenuto preponderante da Febbraio 2020 durante la pandemia di Covid-19, ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a coniare il termine ‘infodemic’, o infodemia in italiano.
Dell’infodemia fanno quindi parte sia informazioni attendibili e veritiere che notizie false, le quali si distinguono in ‘misinformation’ se le notizie false vengono fatte circolare senza alcuna intenzione specifica o ‘disinformation’, ovvero quelle ‘fake news’ che vengono diffuse con un intento specifico, spesso ingannevole, di natura politica o ideologica.
Per contrastare il fenomeno durante la pandemia, le istituzioni o alcune società indipendenti hanno avviato sistematici programmi di monitoraggio del web. Per esempio, le agenzie internazionali (come l’OMS stesso) hanno stretto accordi con i grandi social network per bloccare post che riportavano false notizie sul Covid-19.
L’infodemia è un fenomeno nel quale siamo ancora profondamente immersi: sin dall’invasione russa dell’Ucraina avvenuta il 24 febbraio 2022, i social media sono stati quasi totalmente assorbiti dalla guerra. YouTube, TikTok, Instagram, Twitter e Facebook sono diventati strumenti potentissimi di attivismo politico e propaganda, spesso creando un’eco di disinformazione riguardo al conflitto. Ma il fenomeno non è di certo nuovo, e il legame con la Russia è evidente: nel 2018, per l’UE, la Russia rappresentava infatti il primo produttore al mondo di fake news: basti pensare alla “fabbrica dei trolls di San Pietroburgo”.
Mentre la guerra del nuovo millennio infuria, si può di certo parlare di una parallela “guerra sui social”, che va in diretta su Instagram o su TikTok. E le notizie raggiungono i giovani senza nessuna mediazione, senza che avvenga un’analisi interpretativa che permetta di organizzare logicamente gli avvenimenti. Le conseguenze di questo fenomeno hanno impatti reali sulle persone e sulle organizzazioni: l’incapacità di filtrare le notizie potrebbe trasformare un sentimento di percepito ‘pericolo’ in un vero e proprio stato di angoscia.
Occorre quindi ripartire proprio dal fronteggiare l’infodemia al fine di riattivare la capacità di filtrare le informazioni che vengono ricevute, attraverso un mezzo potentissimo: il pensiero critico. Analizzare informazioni – e, soprattutto, le fonti – in maniera puntuale e scettica, anziché accettarle in modo passivo.
di Alice Pradelli