A due anni di distanza dal contagio del “Paziente 0”, si può certamente affermare che la pandemia di Covid-19 ha infranto gli equilibri del mondo intero.
Gli effetti della pandemia sul mercato del lavoro, però, si concretizzano in un fenomeno globale che è stato giornalisticamente battezzato con un nome proprio, la “shecession”, ovvero una recessione che possiede una componente marcatamente di genere. In altre parole, la crisi economica è donna.
E così in Italia l’occupazione femminile, in crescita dal 2013, registra nel 2020 i minimi storici, con il tasso di occupazione calato vertiginosamente a picco, addirittura sotto al 50%. Una vera e propria debacle se si considera che nel 2019, per la prima volta, il tasso di occupazione femminile aveva superato la fatidica soglia del 50%.
D’altro canto, possedere un’occupazione non sancisce in alcun modo una condizione paritaria: oltre agli ormai noti gaps imprenditoriale, salariale e manageriale, occorre menzionare il ruolo della violenza di genere sul posto di lavoro. Istat, nell’Indagine sulla Sicurezza dei Cittadini del 2016, ha rilevato che un milione e 404 mila donne, nel corso della loro vita lavorativa, hanno subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Questo significa l’8,9 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione.
La sfera lavorativa è solo una componente specifica di un quadro più generale: l’Istat riporta che, in Italia, il 31,5 per cento delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Nel mondo, la violenza contro le donne interessa una donna su tre.
Più concretamente, le conseguenze della pandemia sulla violenza di genere rivelano uno scenario allarmante: il Ministero della Salute riporta che nel primo trimestre del 2021 il numero delle chiamate valide pervenute al numero antiviolenza 1522 è aumentato del 38,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020.
La normativa italiana in materia ha senza dubbio compiuto notevoli passi avanti, i cui capisaldi sono la Legge 23 aprile 2009, n. 38, che introduce il reato di atti persecutori – ovvero lo stalking; la Legge 27 giugno 2013 n. 77 che ratifica la Convenzione di Istanbul, ovvero il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza; e la Legge 19 luglio 2019, n. 69, che innova e modifica la disciplina penale e processuale della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzione.
Ciononostante, risulta fondamentale riconoscere la necessità di apportare un cambiamento a tutto tondo, che impatti a trecentosessanta gradi l’intera base culturale, anziché i singoli settori.
Si rileva infatti il bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale, il cui primo passo potrebbe essere insegnare alle donne e, soprattutto alle bambine, che “A difendersi, s’impara”.
di Alice Pradelli